Recensione Cheap Wine - Mary and the Fairy (Cheap Wine Records/IRD)

Alla  vigilia del ventennale di carriera, i Cheap Wine tornano sul mercato discografico con un nuovo disco dal vivo, il secondo della loro corposa discografia, che prosegue il filo conduttore degli ultimi album in studio che hanno contraddistinto la seconda decade di questi anni duemila. Perché pur essendo una collezione di canzoni naturalmente già edite, Mary and the Fairy può essere considerato un album compiuto a tutti gli effetti, per come si sviluppa la tracklist e per un mood molto intimo che riveste tutte le canzoni. L’idea di partenza di Marco Diamantini e compagni è stata quella di scegliere dal concerto registrato al Teatro Sperimentale di Pesaro lo scorso 30 aprile, otto canzoni che unissero brani tratti da album fuori catalogo da tempo come “Mary” da Ruby Shade (2000), “Behind the Bars” e “I Like Your Smell” da Crime Stories (2002), accanto a brani del repertorio più recente che nell’esecuzione dal vivo, godono di un arrangiamento diverso dalla versione in studio. Il disco è arricchito dalla veste grafica curata dal pittore Giuliano Del Sorbo, un’artista che come i Cheap Wine percorre una strada difficile , lontano dai circuiti dominanti e dalle logiche commerciali, per affermare la sua arte. Il risultato che le “tronie”, termine olandese che significa “volto”, molto diffuso nella pittura fiamminSpiritsga del Seicento, danno al disco è di grande impatto emotivo ed elegante allo stesso tempo, e sarà sicuramente amplificato nella versione doppio vinile dell’album che verrà prodotta verso la fine dell’anno in formato gatefold, per come auspicato da tempo dai fans che hanno gratificato la band con un massiccio numero di copie ordinate in pre order, e che per la prima volta porterà alla pubblicazione di un’opera targata Cheap Wine anche in questo formato. Molte sono le differenze rispetto al precedente disco dal vivo Stay Alive (2010), a partire dal formato singolo invece che doppio, dalla band sostanzialmente diversa nella formazione oramai stabilmente a cinque elementi, e con un suono non più diviso in parte elettrica e parte acustica, ma che media come atmosfera proprio per il fatto che il concerto da cui e tratto si è tenuta nella cornice di un teatro. Il disco si apre “Based on Lies” titletrack del penultimo album in studio che è diventata da subito una canzone manifesto della visione che i Cheap Wine hanno dei tempi in cui viviamo. Il brano mette da subito l’accento sulla maturità raggiunta dalla formazione pesarese, con la solida sezione ritmica che poggia sul drumming preciso e senza sbavature di Alan Giannini e sulle eleganti linee di basso di Andrea Giaro, mentre la chitarra di Michele Diamantini ed il piano Alessio Raffaelli giocano di rimandi scambiandosi il ruolo di conduzione del brano, integrandosi alla perfezione. La voce di Marco Diamantini  si attesta su registri più bassi e consoni alle sue potenzialità, rivestendo le canzoni di un colore inaspettato. Subito dopo arriva “Dried Lives” brano tratto da Spirits (2009) che mette in evidenza la crescita esponenziale che il suono dei Cheap Wine ha avuto dall’ingresso in pianta stabile di Raffaelli, con la canzone che viene letteralmente trasformata in meglio dal nuovo arrangiamento che mette ancora più in risalto la maestria chitarristica di Michele Diamantini che riesce a trovare una nuova vita molto di più adesso che “condivide” la leadership del suono con le tastiere di Raffaelli. Un aspetto che emerge con maggiore prepotenza nella successiva “Behind the Bars”  vero e proprio anthem della discografia dei Cheap Wine, colpevolmente lasciata fuori dalle scalette dei concerti (e anche dal live precedente) per troppo tempo, ma che per fortuna è tornata se non al centro, per lo meno ad occupare il ruolo che gli spetta, nel progetto live della band. Con il nuovo arrangiamento si può dire che ci troviamo davanti ad una canzone completamente nuova visto che il ruolo portante del brano viene assunto dal pianoforte che ne accentua la drammaticità del testo, amplificando il carattere nel lungo assolo centrale in cui Alessio Raffaelli mostra tutta la sua bravura, ed il valore che aggiunge ad una band di per sé già eccellente. Man mano che la scaletta del disco si dipana si coglie il senso compiuto di questo lavoro che come dicevo all’inizio ha un mood molto intimo che non si adagia sui facili territori di ricercare il consenso a suon di hits, ma punta tutto sulla qualità di una proposta senza tempo. Anche “I Like Your Smell” gode della nuova veste sonora con gli arpeggi di chitarra e la fisarmonica a sottolinearne la linea melodica. “La Buvese” è in un certo senso il brano più sorprendente, non tanto perché possa sembrare una canzone molto diversa dalla versione apparsa sull’album  Spirits, ma per quanto possa essere definita la canzone trainante dell’album, con la batteria di Alan Giannini ed il basso di Andrea Giaro che la rivestono di colori jazz mentre Michele Diamantini e Raffaelli swingano sostenendo il cantato di Marco Diamantini mai così ben messo a fuoco come in questo brano. Un brano propedeutico alla successiva “Mary” altro pezzo da novanta della discografia del gruppo, che arriva dal lontanissimo Ruby Shade (2000) che si sviluppa lungo i suoi dieci minuti nella cui parte finale la chitarra di torna prepotentemente protagonista per dare l’imprinting ad un suono che trova pochi eguali in Italia. “Waiting on the Door” spezza un po’ la tensione creata da “Mary” ma messa in questa posizione della scaletta sembra quasi voler mostrare le differenze tra il suono degli esordi e quello attuale della band, ed anche in questa veste mostra di essere la cosa più vicina ad un singolo uscita dalla penna di quel grande autore che è Marco Diamantini. Un momento di leggerezza che prepara il terreno al brano forse più intenso dell’intera discografia dei Cheap Wine. “The Fairy Has Your Wings (For Valeria) arricchito da un crescendo strumentale rispetto alla versione in studio, viene rivestito di nuovi colori nonostante il brano abbia poco più di un anno di vita, e sia una canzone perfetta, con la musica che non solo sottolinea la tristezza del distacco, ma riesce nel contempo a trattenere quanto di bello la protagonista ha lasciato nella vita dei Cheap Wine. Una chiosa perfetta per un album annulla e ribalta il concetto classico di Live Album.

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